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Dissesto idrogeologico, Legambiente: a rischio 7,5 milioni di cittadini

Presentato il dossier ‘Ecosistema rischio 2017’. La priorità deve essere la delocalizzazione degli edifici a rischio

Vedi Aggiornamento del 28/06/2019
24/11/2017 - Il rischio idrogeologico rende l’Italia sempre più fragile e insicura: 7,5 milioni i cittadini che vivono o lavorano in aree a rischio, nel 70% dei comuni si trovano abitazioni in aree a rischio e nel 15% dei casi si tratta di scuole o ospedali. Per questo la delocalizzazione degli edifici a rischio deve essere una priorità.
 
Questi i dati messi in luce dal dossier Ecosistema Rischio 2017, l’indagine di Legambiente, realizzata in collaborazione con Unipol, sulle attività nelle amministrazioni comunali per la riduzione del rischio idrogeologico (sulla base delle risposte fornite da 1.462 amministrazioni al questionario inviato ai 7.145 comuni classificati ad elevata pericolosità idrogeologica) presentata mercoledì a Roma.
 

Dissesto idrogeologico e costruzioni a rischio

Secondo il Rapporto nel 70% dei comuni italiani intervistati si trovano abitazioni in aree a rischio: nel 27% sono presenti interi quartieri, mentre nel 50% dei comuni sorgono impianti industriali. Scuole o ospedali si trovano in aree a rischio nel 15% dei casi, mentre nel 20% dei comuni si trovano strutture ricettive o commerciali in aree a rischio.
 
Tale fenomeno è amplificato dall’azione umana: nell’ultimo decennio il 9% dei comuni (136) ha edificato in aree a rischio e di questi 110 hanno costruito case, quartieri o strutture sensibili e industriali in aree vincolate, nonostante il recepimento del PAI (Piani di assetto idrogeologico) nella pianificazione urbanistica.
 
Preoccupanti anche i dati sulla cementificazione dei letti dei fiumi: anche se il 70% dei comuni intervistati (1.025 amministrazioni), svolge regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulicail 9% delle amministrazioni ha dichiarato di aver “tombato” tratti di corsi d’acqua sul proprio territorio, con una conseguente urbanizzazione delle aree sovrastanti, mentre solo il 4% ha eseguito la delocalizzazione di abitazioni costruite in aree a rischio e il 2% la delocalizzazione di fabbricati industriali.
 
Secondo le stime di Legambiente “a pagare lo scotto di questa Italia insicura sono gli oltre 7,5 milioni di cittadini esposti quotidianamente al pericolo che vivono o lavorano in aree potenzialmente pericolose”. Dal 2010 al 2016, stando alle stime del Cnr, le sole inondazioni hanno provocato nella Penisola la morte di oltre 145 persone e l’evacuazione di oltre 40mila persone mentre i danni economici causati dal maltempo nell’ultimo triennio (2013-2016), secondo i dati dell’unità di missione Italiasicura, ammontano a circa 7,6 miliardi di euro.
 

Rischio idrogeologico: le opere antidissesto

Secondo il rapporto, lo Stato ha risposto stanziando circa il 10% di quanto necessario, ovvero 738 milioni di euro.
 
Il 65% delle amministrazioni (952) ha dichiarato che sono state realizzate opere per la mitigazione del rischio nel proprio territorio. In 455 comuni sono state conseguite opere di consolidamento dei versanti (48% dei casi), in 430 costruzioni di nuove arginature (45%), e in 383 comuni interventi come la risagomatura dell’alveo (40%). Nel 78% dei casi (1.145) le perimetrazioni definite dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) sono state integrate ai piani urbanistici, anche se nel 9% delle amministrazioni si è continuato a costruire nelle aree a rischio anche nell’ultimo decennio.
 
Tuttavia Legambiente sottolinea che, nonostante negli ultimi anni ci siano stati dei segnali incoraggianti legati anche a specifici atti normativi (art. 7 dello Sblocca Italia su interventi integranti e comma 118  della Legge stabilità 2014 sulle misure che favoriscono la delocalizzazione in aree sicure degli edifici costruiti nelle zone colpite dalle alluvioni), ad oggi gli interventi di delocalizzazione degli edifici presenti in aree a rischio stentano a ripartire. Non vengono effettuati neanche quando gli immobili sono abusivi e ci sono fondi a disposizione per farli.
 
Lo dimostra il fondo di 10 milioni di euro stanziato dal Ministero dell’Ambiente a fine 2016, destinato ai Comuni che demoliscono gli edifici abusivi presenti nelle aree a rischio, ancora oggi inutilizzato perché sono pervenute solo 17 richieste di abbattimento non sufficienti per far scattare l’iter.
 

Riduzione del rischio idrogeologico: le proposte di Legambiente

Legambiente ha presentato le sue 5 priorità di intervento:
1) Introdurre la chiave dell’adattamento al clima nella pianificazione di bacino e negli interventi di riduzione del rischio idrogeologico; 
2) Intervenire in maniera prioritaria sulle aree urbane;
3) Avviare una politica di delocalizzazione degli edifici a rischio;
4) Rafforzare le misure di vincolo, con l’obiettivo di evitare l’insediamento di nuovi elementi in arre a rischio; 
5) Diffondere la cultura della “convivenza con il rischio” attraverso piani di emergenza adeguati e aggiornati, attività di formazione e informazione per la popolazione e campagne educative per l’apprendimento dei comportamenti da adottare in caso di frane e alluvioni e dell’attivazione dello stato di allerta sul proprio territorio.