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Mobilità quasi zero per i professionisti della Ue

Mobilità quasi zero per i professionisti della Ue

La procedura per il riconoscimento dei titoli è lunga e complicata

di Rossella Calabrese
19/09/2005 - La libera circolazione dei professionisti in Europa è, nonostante gli sforzi, ancora una chimera. Sono solo un migliaio, infatti, i professionisti che vivono e lavorano in un Paese diverso da quello in cui hanno studiato. Troppe le difficoltà che si pongono a chi decide di intraprendere la strada del riconoscimento dei titoli e delle abilitazioni professionali; in Europa e soprattutto in Italia il sistema delle professioni è “blindato” e reso quasi inespugnabile dalle procedure previste da Ministeri e Ordini professionali. Il mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali relative a corsi di studio di almeno tre anni è disciplinato dalla direttiva 89/48/Ce recepita dal Dlgs 115/92 mentre i diplomi conseguiti al termini di corsi di studio di durata inferiore ai tre anni sono oggetto della direttiva 92/51/Ce e del Dlgs 319/94. Per vedere riconosciuto il proprio titolo in Italia è necessario presentare domanda allegando il titolo accademico, il certificato di abilitazione professionale ottenuto nel Paese di origine e un certificato dell’ambasciata del proprio Paese relativo alla regolamentazione della professione nel Paese di origine. Se per la professione non è prevista l’abilitazione occorre dimostrare di possedere almeno 2 anni di esperienza. La Conferenza interministeriale si occupa della pratica di riconoscimento. Caso per caso viene valutata l’opportunità di misure compensative, ad esempio una prova orale o un periodo di tirocinio. Particolarmente dura la procedura per gli ingegneri, ai quali può venir richiesto lo svolgimento di un tirocinio anche di 2 anni, nonostante la pratica non sia obbligatoria per i neolaureati italiani. Presso il Ministero della Giustizia, che si occupa di questo tipo di pratiche, non esiste un elenco dei professionisti comunitari abilitati in Italia, ma secondo gli Ordini dovrebbero essere una trentina gli architetti abilitati nel 2004 e circa 200 in tutto gli ingegneri stranieri iscritti agli Albi italiani. Il percorso inverso, cioè il trasferimento di professionisti italiani all’estero, è ancora meno battuto: spesso incide la poca padronanza delle lingue e il fatto di ereditare lo studio paterno. Un aiuto potrebbe venire dalla norma inserita nel decreto sull’Albo unico, ancora allo studio, che prevede 6 mesi di tirocinio facoltativo all’estero.
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