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Contributo di costruzione, il Comune può chiedere integrazioni entro 10 anni

Contributo di costruzione, il Comune può chiedere integrazioni entro 10 anni

Consiglio di Stato: rideterminazione possibile ma con paletti. Il ricalcolo può essere richiesto anche dal privato titolare del titolo abilitativo

Vedi Aggiornamento del 15/05/2023
Contributo di costruzione, il Comune può chiedere integrazioni entro 10 anni
di Paola Mammarella
Vedi Aggiornamento del 15/05/2023
06/09/2018 - Il Comune ha dieci anni di tempo per rideterminare il contributo di costruzione correlato al rilascio di un permesso di costruire. È la soluzione prospettata dal Consiglio di Stato con la sentenza 12/2018.
 
Per poter chiedere un’integrazione ci sono però dei paletti da rispettare.
 

Contributo di costruzione, quando si può chiedere un aumento

Il contributo di costruzione può essere rideterminato solo in caso di errori di quantificazione da parte del Comune. È inoltre necessario che il ricalcolo sia effettuato secondo la tariffa vigente al momento del rilascio del permesso di costruire.
 
Dal momento del rilascio del titolo abilitativo, il Comune ha dieci anni di tempo per accertare eventuali errori di calcolo e chiedere un aumento del contributo. Si applica quindi il termine ordinario per la prescrizione, decorso il quale non è più possibile richiedere una rettifica.
 

Aumento del contributo di costruzione, il caso

Nel caso preso in esame, un privato aveva ottenuto il permesso di costruire per la realizzazione di un capannone con annessi uffici. Dopo quattro anni dal rilascio del titolo abilitativo, l’Amministrazione aveva chiesto una consistente integrazione del contributo di costruzione. Il privato si era quindi opposto, lamentando anche che la rettifica era stata richiesta ad una notevole distanza di tempo dal rilascio dei titoli edilizi.
 
Per dirimere la controversia, il Consiglio di Stato ha spiegato che la rideterminazione degli oneri concessori costituisce l’esercizio di una legittima facoltà nell’ambito di un rapporto paritetico tra la pubblica amministrazione e il privato.
 
Secondo i giudici, il titolo abilitativo, al di là del suo carattere sostanzialmente autorizzatorio, attribuisce al privato “rilevanti benefici economici, a fronte dei quali è previsto, in termini di controprestazione, il pagamento di una somma di danaro, qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico”.
 
“Il contributo - si legge nella sentenza - articolato nelle due voci inerenti agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione, rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione”.
 
Il CdS ha illustrato che ci sono due tesi su cosa accade dopo la determinazione del contributo di costruzione. Secondo la prima tesi, la determinazione del contributo dà luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizza al momento del rilascio del titolo edilizio, che non è suscettibile di modifiche successive.
 
La seconda tesi prevede invece che, proprio perché si tratta di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, soggetto a prescrizione decennale, la rettifica è sempre possibile per sanare un errore di calcolo.
 
I giudici hanno optato per l’ultima tesi, specificando che anche i privati hanno la stessa possibilità. Questo vuol dire che il titolare del permesso di costruire che crede di essere stato assoggettato ad un contributo eccessivo, può fare ricorso al Tar entro dieci anni.
 
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