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Abusi edilizi, a chi spetta provare la fine dei lavori?

Abusi edilizi, a chi spetta provare la fine dei lavori?

La Cassazione spiega: dipende da chi vuole far valere, a proprio vantaggio, la prescrizione del reato

Vedi Aggiornamento del 24/08/2020
Foto: kuningaskotka©123RF.com
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di Paola Mammarella
Vedi Aggiornamento del 24/08/2020
08/11/2019 - Su chi ricade l’onere di provare la fine dei lavori in un contenzioso per la realizzazione di un’opera abusiva? Lo ha spiegato la Cassazione con la sentenza 44510/2019.
 

Abusi edilizi, il caso

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di un ampliamento, costituito da una tettoia chiusa sui lati con pareti in muratura e vetrate non amovibili, realizzato in assenza di permesso di costruire, e comunque in difformità da un’autorizzazione ottenuta in sanatoria, e in violazione delle prescrizioni per la costruzione di opere in zona sismica.
 
Il responsabile, dopo la condanna, aveva lamentato che i giudici si erano pronunciati dopo molto tempo e che, nel frattempo, il reato si era prescritto.
 
A suo avviso, inoltre, i lavori erano terminati molto prima di quanto rilevato dal Tribunale. Di parere opposto i tecnici del Comune. Secondo la loro perizia l’opera era “di recentissima fattura”. 
 

Abusi edilizi, come funziona la prescrizione

La Cassazione ha spiegato in primo luogo che l’onere di dimostrare la data di conclusione dei lavori ricade sul soggetto che intende far valere la prescrizione a proprio vantaggio. Si tratta, in questo caso, del responsabile dell’intervento.
 
Se, al contrario, fossero stati i giudici a voler dimostrare la mancata prescrizione del reato, sarebbe stato loro richiesto di fornire informazioni attendibili sulla fine dei lavori.
 
Dal momento che il responsabile dell’intervento abusivo non era riuscito a fornire una prova certa sulla data di ultimazione degli interventi, la Cassazione si è basata sui rilievi dell’autorità giudiziaria, che ha confermato quanto già concluso dal Comune, cioè che si trattava di opere realizzate da poco tempo.
 
La Cassazione ha quindi respinto le richieste del responsabile dell’abuso.
 
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