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Qualità dell’aria indoor nelle scuole, come migliorarla
di Roberto Nidasio - CTI Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente

Qualità dell’aria indoor nelle scuole, come migliorarla

Dalle linee guida ministeriali alle soluzioni: aerazione naturale e ventilazione meccanica controllata

Vedi Aggiornamento del 07/02/2025
Foto: 2mmedia © 123rf.com
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di Roberto Nidasio - CTI Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente
Vedi Aggiornamento del 07/02/2025
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01/09/2022 - Lo scorso 3 agosto 2022, sono state pubblicate le tanto attese “Linee guida sulle specifiche tecniche in merito all’adozione di dispositivi mobili di purificazione e impianti fissi di aerazione e agli standard minimi di qualità dell’aria negli ambienti scolastici e in quelli confinati degli stessi edifici”.
 
Tale documento si pone come finalità sia di fornire indicazioni sugli «apparecchi di sanificazione, igienizzazione e purificazione dell’aria negli ambienti provvisti di sistemi di filtraggio delle particelle e di distruzione di microrganismi presenti nell’aria», sia di dare alcune indicazioni sugli «standard minimi di qualità dell’aria negli ambienti scolastici e in quelli confinati degli stessi edifici» «in relazione al presente quadro epidemiologico e alle conoscenze sulla dinamica dei contagi da virus aerei».
 
Il decreto è quindi stato pensato in relazione e in risposta al Covid-19, ma in realtà il tema della qualità dell’aria negli ambienti, e in particolare nelle scuole, è molto più ampio e merita un approfondimento non solo in relazione alla più recente pandemia.
 
In questo articolo vedremo di approfondire alcuni concetti, partendo e facendo appunto riferimento alle linee guida appena pubblicate.
 
Andiamo per punti. Innanzitutto, un concetto fondamentale: perché è importante la qualità dell’aria negli ambienti indoor? La risposta è molto semplice: lo stile di vita della nostra società prevede che si passi gran parte del nostro tempo in ambienti chiusi, che siano essi abitazioni, uffici, scuole o altro. Tali spazi devono quindi essere il più possibile salubri, ovvero devono esserci condizioni che garantiscano la salute e il benessere degli occupanti.
 
E una buona qualità dell’aria che respiriamo è uno degli ingredienti fondamentali di questa ricetta; innumerevoli studi lo hanno ormai dimostrato: un’eccessiva concentrazione di contaminanti e agenti patogeni in ambiente aumenta il rischio di contrarre infezioni e sviluppare nel corso degli anni diverse patologie, che possono compromettere appunto la nostra salute. Siamo arrivati quindi ad un secondo concetto: quello di “rischio”. Come evidenziato molto bene dalle stesse linee guida, l’obiettivo è la riduzione di questo rischio per la salute.
 
Da notare che il rischio di contrarre infezioni per via aerea può essere ridotto con diverse misure, più o meno “straordinarie”. Durante la pandemia purtroppo le abbiamo messe in campo praticamente tutte. Ci possono infatti essere misure di tipo gestionale, come la riduzione dei tassi di occupazione e il distanziamento tra le persone e misure di protezione individuale, come le mascherine.
 
Oltre a tutto ciò, vi è anche la ventilazione degli ambienti, che ha come scopo principale appunto quello di migliorare la qualità dell’aria indoor. Infatti, un adeguato ricambio d’aria, ovvero la sostituzione di aria interna, che si suppone contaminata, con aria esterna, che si suppone non contaminata o comunque avente una concentrazione di contaminanti molto minore di quella interna, fa sì che si abbassino le concentrazioni di inquinanti all’interno degli ambienti e quindi, di conseguenza, diminuisca la probabilità di contagio tramite airborne.
 
Per completezza, occorre anche dire che in tema di ventilazione, non vi è solo il ricambio d’aria, ovvero la cosiddetta “diluizione”, ma come strumento efficace per il miglioramento della qualità dell’aria vi è anche la “filtrazione”, ovvero la rimozione (fisica) del particolato attraverso opportuni dispositivi o sistemi. Precisiamo che la filtrazione non sostituisce il ricambio d’aria, in quanto, oltre ad un discorso legato al particolato, vi è anche l’esigenza di ricambio per garantire un’adeguata ossigenazione degli ambienti.
 

Dalle linee guida al progetto termotecnico

Terminato questo inquadramento generale, torniamo alle linee guida sulle scuole e vediamo nello specifico di quantificare il tutto e approfondire il ragionamento da un punto di vista termotecnico e progettuale.
 
Il decreto, in estrema sintesi, riporta un numero: 10 l/secondo per persona, che è il ricambio d’aria considerato ottimale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO) per le scuole. Si ritiene quindi che garantendo almeno tale ricambio venga assicurata una buona qualità dell’aria negli ambienti scolastici.
 
È immediato quindi chiedersi quale sia la via più opportuna per ottemperare a tale richiesta. I tecnici, ma anche gli stessi committenti, sono infatti sempre combattuti tra due soluzioni: l’areazione naturale o la ventilazione meccanica controllata. Né l’OMS, né le linee guida prescrivono l’una o l’altra, ma dicono semplicemente di valutare le opzioni in relazione al contesto e cercando di adottare la migliore soluzione anche considerando altre variabili, come i costi, la rumorosità, la manutenzione, ecc.
 
Facciamo a questo punto un paio di calcoli, per prendere maggiore consapevolezza della questione e per capire cosa significa garantire un ricambio d’aria di 10 l/secondo per persona. Consideriamo un’aula di 50 m2 di superficie. Consideriamo un indice di affollamento di 0,45 persone/m2. Calcolatrice alla mano, in questo caso 10 l/secondo per persona significa 225 l/secondo, ovvero 810 m3/h.
 
In altri termini, forse più immediati da comprendere, considerata un’altezza dell’ambiente di 3,30 m, 810 m3/h equivalgono a circa 4,91volumi/h (valore che, non per puro caso, è molto vicino ai 5 volumi/h prescritti dal Decreto del Ministro dei lavori pubblici 18 dicembre 1975 per le scuole secondarie di secondo grado).
 
Ora, come già detto, nessuno impone la VMC, e potremmo anche provare a garantire questi 4,91 volumi/h con l’aerazione naturale, ovvero con l’apertura delle finestre. Ma ragioniamo un attimo su un fatto: quante volte e per quanto tempo gli occupanti dovranno aprire le finestre per arrivare a tali tassi di ricambio? Proviamo a rispondere con razionalità: è facile intuire che non si possono garantire 4,91 volumi/h aprendo le finestre una sola volta “al cambio dell’ora”, come si usa dire.
 
Infatti, ammesso di avere una portata tale, l’azione sarebbe un po’ inutile, nel senso che aprendo le finestre una sola volta e per breve tempo ad un certo punto andremmo a sostituire, con aria esterna, aria interna non ancora del tutto inquinata, appunto perché appena immessa (non dimentichiamo che inquinanti e agenti patogeni vengono rilasciati costantemente nel tempo per la permanenza di persone negli ambienti). Possiamo quindi dire che per garantire 4,91 volumi/h bisognerebbe aprire le finestre quasi 5 volte all’ora, cioè una volta ogni 12 minuti circa. Non proprio poco.
 
E per quanto vanno mantenute aperte le finestre per ricambiare 1 volume/h? Difficile dirlo a priori perché dipende da diversi fattori (in parole povere dipende essenzialmente da quanto la conformazione dell’aula consenta di “fare corrente”). In generale, tuttavia, consideriamo il fatto che la maggior parte delle aule scolastiche, per ragioni funzionali e architettoniche, hanno le finestre da un solo lato, quindi, la possibilità di ventilazione naturale trasversale è minima.
 
Di conseguenza, possiamo ipotizzare che le finestre debbano ogni volta rimanere aperte per qualche minuto (e non di certo per qualche manciata di secondi). Ciò detto, qualcuno potrebbe anche ipotizzare di mantenere le finestre sempre parzialmente aperte, magari con la cosiddetta “micro-areazione” di alcuni serramenti. Questo sì, da un lato è possibile, ma dall’altro teniamo presente che ciò vanifica completamente la ricerca della tenuta all’aria dei serramenti (estremizzando potremmo anche dire che la tenuta all’aria dei serramenti, negli edifici con aerazione naturale, a questo punto non serva a nulla).
 
Cosa possiamo quindi concludere da tutto questo ragionamento? Sicuramente che, se da un lato non è escluso a priori che si possano garantire ricambi adeguati con l’apertura delle finestre, dall’altro ciò comporta una gestione molto attenta da parte degli occupanti, che non si devono “dimenticare” del problema o farlo passare in secondo piano per varie ragioni, il comfort tra tutti.
 
Già, il comfort. Chiunque sia stato vicino ad una finestra aperta durante l’inverno si è sicuramente reso conto che ciò non è il massimo, appunto perché il nostro corpo gradisce poco sbalzi termici e correnti d’aria; quindi, l’apertura delle finestre in certi periodi dell’anno non è proprio un’azione all’insegna del benessere.
 
E in un contesto geo-politico delicato come questo, vogliamo trascurare nell’analisi il tema dell’efficienza energetica? Per questo si dovrebbe aprire una lunga parentesi ed è un argomento che merita un approfondimento a parte. Limitiamoci sono a dire che con la ventilazione naturale l’edificio “subisce” necessariamente un fabbisogno per ventilazione (è un male necessario). Con la VMC, attraverso i recuperatori, tale fabbisogno, a carico dell’impianto di riscaldamento, può essere anche ridotto e contenuto il più possibile.
 
Oltre a ciò, sempre mettendo a confronto ventilazione naturale e ventilazione meccanica nel contesto scolastico, possiamo dire che la prima soluzione ha sicuramente minori costi iniziali e di manutenzione, mentre, come accennato, riguardo i costi energetici va effettuato un calcolo per quantificare l’eventuale risparmio dovuto ai recuperatori.
 
Ragionando sulla rumorosità, invece, se ne può discutere, nel senso che un impianto di VMC ha sicuramente un minimo di rumore, ma occorre considerare il fatto che l’apertura delle finestre provoca l’ingresso dei rumori provenienti dall’esterno, non del tutto trascurabili in contesti urbani.
 
Come spesso accade, quindi, ci lasciamo con la considerazione che non esiste una soluzione che sia migliore su tutti i fronti. I vari aspetti vanno valutati e quantificati, in relazione a contesto in cui ci si trova. Ma gran parte del problema è proprio questo: il non valutare certi aspetti e liquidare la VMC come soluzione costosa e “complicata”, senza prendere in considerazione i vantaggi che ne possono derivare.
 
Molto spesso, infatti, si valutano solo i costi, ma non i benefici, che in effetti sono meno immediati da quantificare, ma ci sono e devono essere anch’essi colti ed evidenziati dal buon progettista.
 
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