
I requisiti energetici della nuova Direttiva EPBD per gli edifici residenziali
RISPARMIO ENERGETICO
I requisiti energetici della nuova Direttiva EPBD per gli edifici residenziali
Il consumo medio di energia primaria, rispetto al 2020, dovrà diminuire di almeno il 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035
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del 20/01/2025

17/06/2024 - In questo articolo proseguiremo l’approfondimento di una tematica, riguardante la nuova Direttiva EPBD, che avevamo già iniziato ad illustrare in un precedente articolo.
Più nel dettaglio, lo scorso mese avevamo parlato dei requisiti energetici per gli edifici non residenziali, in relazione all’articolo 9 della Direttiva. Ora proseguiamo l’approfondimento verticale e completiamo i ragionamenti parlando di edifici residenziali.
Prima di addentrarci nella trattazione, ricordiamo solo che stiamo parlando della Direttiva 1275/2024/UE, pubblicata il giorno 8 maggio 2024 e battezzata Direttiva “Case Green”, anche se noi tecnici preferiamo chiamarla con il suo acronimo EPBD, Energy Performance of Buildings Directive.
Come detto, riprendiamo quindi l’articolo 9 e concentriamoci sugli edifici residenziali. Il tutto è illustrato al secondo punto (o comma).
La Direttiva dice che entro il 29 maggio 2026, ciascuno Stato membro deve stabilire una traiettoria per la ristrutturazione progressiva del parco immobiliare residenziale in linea con la tabella di marcia nazionale, gli obiettivi 2030, 2040 e 2050 contenuti nel piano nazionale di ristrutturazione degli edifici dello Stato membro e con lo scopo di trasformare il parco immobiliare nazionale in un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050.
Anche per gli edifici residenziali, quindi, abbiamo un obiettivo che è quello comune a tutti: avere un parco immobiliare completamente decarbonizzato al 2050. Per arrivarci, tuttavia, la Direttiva propone un approccio leggermente differente tra edifici non residenziali e residenziali. Per i primi, come abbiamo visto nel precedente articolo, sono di fatto prescritte delle soglie minime (del 16% e del 26% rispetto alla fotografia al 2020), che poi andranno ad applicarsi e tradursi in limiti specifici per singolo edificio.
Per gli edifici residenziali, invece, come abbiamo appena visto, il tutto si dovrebbe tradurre in un piano di ristrutturazione, che preveda di seguire una traiettoria, con vari milestone intermedi, per arrivare al 2050. In altre parole, potremmo dire che per gli edifici residenziali, rispetto ai non residenziali, i requisiti che delinea la direttiva sono meno specifici, poiché si fa riferimento sempre alla prestazione media del parco immobiliare.
La traiettoria nazionale per la ristrutturazione progressiva del parco immobiliare residenziale dovrà essere espressa come un calo del consumo medio di energia primaria del parco immobiliare residenziale durante il periodo 2020-2050. È lasciata quindi facoltà e libertà allo Stato Membro di definire come mettere a terra questa strategia e quindi su quali edifici agire.
Tuttavia, la Direttiva fornisce alcune indicazioni: almeno il 55% del calo del consumo medio di energia primaria deve essere conseguito mediante la ristrutturazione del 43% degli edifici residenziali con le prestazioni peggiori. Quindi focalizzazione sugli edifici con prestazioni energetiche più scarse.
Questo fatto, che implica poi la definizione del sottoinsieme degli edifici peggiori, ha due aspetti da considerare. Il primo è che alla base, ovviamente, c’è una ragione logica: in linea generale, la riqualificazione di un edificio con prestazioni pessime (e quindi si presuppone dotato di tecnologie piuttosto datate) porta ad un rapporto tra energia risparmiata e costo dell’investimento più elevato.
In altri termini, a parità di risorse investite, l’effetto in termini di efficientamento è più elevato. Questo perché un intervento di efficientamento energetico, a parità appunto di investimento per i nuovi componenti, porta ad un risparmio maggiore tanto più è elevata la differenza prestazionale tra vecchi e nuovi componenti. In ottica sistemica, questo si traduce in un utilizzo più efficiente delle risorse economiche a disposizione, sia private sia pubbliche (includendo anche detrazioni, incentivi, ecc.).
Detto ciò, tuttavia, vi è un secondo aspetto da considerare: è opportuno ragionare in termini assoluti, ovvero considerare il dato in termini di consumo di energia primaria indipendentemente da tutto, oppure è meglio ragionare in relazione, ad esempio, alla diversa zonizzazione climatica, ai servizi offerti dall’edificio, ecc. ecc.? Per il momento questo rimane uno spunto di discussione. La decisione spetterà allo Stato Membro.
Ragionando quindi sulla media dell’intero parco immobiliare residenziale, la Direttiva dice che gli Stati membri provvedono affinché il consumo medio di energia primaria, rispetto al 2020, diminuisca di almeno il 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035.
Entro il 2040, e successivamente ogni cinque anni, esso deve essere equivalente o inferiore al valore determinato a livello nazionale derivato da un progressivo calo del consumo medio di energia primaria dal 2030 al 2050 in linea con la trasformazione del parco immobiliare residenziale in un parco immobiliare a emissioni zero.
Così come per gli edifici non residenziali, anche per gli edifici residenziali, allo scopo di valutare e quantificare tale calo del consumo medio di energia primaria, lo Stato Membro dovrà fare una fotografia e dare quindi una quantificazione della situazione al 2020. Per fare ciò la Direttiva dice che ci si può basare su campionamenti statistici e attestati di prestazione energetica.
Nel secondo caso, ovvero il ragionamento effettuato sugli attestati di prestazione energetica, occorre considerare tuttavia un fatto: in Italia gli APE sono richiesti per edifici di nuova costruzione, ristrutturazioni importanti, compravendite e locazioni. Quindi, di fatto, risulta esserci un APE per tutti gli edifici più recenti (che sono anche quelli con le prestazioni migliori) ma chiaramente non c’è un APE per tutti gli edifici esistenti (che non sono mai stati affittati o venduti). Questo comporta che la situazione statistica rappresentata nel database degli APE risulti leggermente migliore, in termini di prestazioni energetiche medie, di quel che realmente è.
In conclusione, anche per gli edifici residenziali, ci saranno diversi aspetti da definire e risulta ancora difficile immaginare come saranno i prossimi requisiti energetici minimi in attuazione alla nuova EPBD. Anche se il tempo per il recepimento non è molto, la discussione è appena iniziata.
Più nel dettaglio, lo scorso mese avevamo parlato dei requisiti energetici per gli edifici non residenziali, in relazione all’articolo 9 della Direttiva. Ora proseguiamo l’approfondimento verticale e completiamo i ragionamenti parlando di edifici residenziali.
Prima di addentrarci nella trattazione, ricordiamo solo che stiamo parlando della Direttiva 1275/2024/UE, pubblicata il giorno 8 maggio 2024 e battezzata Direttiva “Case Green”, anche se noi tecnici preferiamo chiamarla con il suo acronimo EPBD, Energy Performance of Buildings Directive.
Come detto, riprendiamo quindi l’articolo 9 e concentriamoci sugli edifici residenziali. Il tutto è illustrato al secondo punto (o comma).
La Direttiva dice che entro il 29 maggio 2026, ciascuno Stato membro deve stabilire una traiettoria per la ristrutturazione progressiva del parco immobiliare residenziale in linea con la tabella di marcia nazionale, gli obiettivi 2030, 2040 e 2050 contenuti nel piano nazionale di ristrutturazione degli edifici dello Stato membro e con lo scopo di trasformare il parco immobiliare nazionale in un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050.
Anche per gli edifici residenziali, quindi, abbiamo un obiettivo che è quello comune a tutti: avere un parco immobiliare completamente decarbonizzato al 2050. Per arrivarci, tuttavia, la Direttiva propone un approccio leggermente differente tra edifici non residenziali e residenziali. Per i primi, come abbiamo visto nel precedente articolo, sono di fatto prescritte delle soglie minime (del 16% e del 26% rispetto alla fotografia al 2020), che poi andranno ad applicarsi e tradursi in limiti specifici per singolo edificio.
Per gli edifici residenziali, invece, come abbiamo appena visto, il tutto si dovrebbe tradurre in un piano di ristrutturazione, che preveda di seguire una traiettoria, con vari milestone intermedi, per arrivare al 2050. In altre parole, potremmo dire che per gli edifici residenziali, rispetto ai non residenziali, i requisiti che delinea la direttiva sono meno specifici, poiché si fa riferimento sempre alla prestazione media del parco immobiliare.
La traiettoria nazionale per la ristrutturazione progressiva del parco immobiliare residenziale dovrà essere espressa come un calo del consumo medio di energia primaria del parco immobiliare residenziale durante il periodo 2020-2050. È lasciata quindi facoltà e libertà allo Stato Membro di definire come mettere a terra questa strategia e quindi su quali edifici agire.
Tuttavia, la Direttiva fornisce alcune indicazioni: almeno il 55% del calo del consumo medio di energia primaria deve essere conseguito mediante la ristrutturazione del 43% degli edifici residenziali con le prestazioni peggiori. Quindi focalizzazione sugli edifici con prestazioni energetiche più scarse.
Questo fatto, che implica poi la definizione del sottoinsieme degli edifici peggiori, ha due aspetti da considerare. Il primo è che alla base, ovviamente, c’è una ragione logica: in linea generale, la riqualificazione di un edificio con prestazioni pessime (e quindi si presuppone dotato di tecnologie piuttosto datate) porta ad un rapporto tra energia risparmiata e costo dell’investimento più elevato.
In altri termini, a parità di risorse investite, l’effetto in termini di efficientamento è più elevato. Questo perché un intervento di efficientamento energetico, a parità appunto di investimento per i nuovi componenti, porta ad un risparmio maggiore tanto più è elevata la differenza prestazionale tra vecchi e nuovi componenti. In ottica sistemica, questo si traduce in un utilizzo più efficiente delle risorse economiche a disposizione, sia private sia pubbliche (includendo anche detrazioni, incentivi, ecc.).
Detto ciò, tuttavia, vi è un secondo aspetto da considerare: è opportuno ragionare in termini assoluti, ovvero considerare il dato in termini di consumo di energia primaria indipendentemente da tutto, oppure è meglio ragionare in relazione, ad esempio, alla diversa zonizzazione climatica, ai servizi offerti dall’edificio, ecc. ecc.? Per il momento questo rimane uno spunto di discussione. La decisione spetterà allo Stato Membro.
Ragionando quindi sulla media dell’intero parco immobiliare residenziale, la Direttiva dice che gli Stati membri provvedono affinché il consumo medio di energia primaria, rispetto al 2020, diminuisca di almeno il 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035.
Entro il 2040, e successivamente ogni cinque anni, esso deve essere equivalente o inferiore al valore determinato a livello nazionale derivato da un progressivo calo del consumo medio di energia primaria dal 2030 al 2050 in linea con la trasformazione del parco immobiliare residenziale in un parco immobiliare a emissioni zero.
Così come per gli edifici non residenziali, anche per gli edifici residenziali, allo scopo di valutare e quantificare tale calo del consumo medio di energia primaria, lo Stato Membro dovrà fare una fotografia e dare quindi una quantificazione della situazione al 2020. Per fare ciò la Direttiva dice che ci si può basare su campionamenti statistici e attestati di prestazione energetica.
Nel secondo caso, ovvero il ragionamento effettuato sugli attestati di prestazione energetica, occorre considerare tuttavia un fatto: in Italia gli APE sono richiesti per edifici di nuova costruzione, ristrutturazioni importanti, compravendite e locazioni. Quindi, di fatto, risulta esserci un APE per tutti gli edifici più recenti (che sono anche quelli con le prestazioni migliori) ma chiaramente non c’è un APE per tutti gli edifici esistenti (che non sono mai stati affittati o venduti). Questo comporta che la situazione statistica rappresentata nel database degli APE risulti leggermente migliore, in termini di prestazioni energetiche medie, di quel che realmente è.
In conclusione, anche per gli edifici residenziali, ci saranno diversi aspetti da definire e risulta ancora difficile immaginare come saranno i prossimi requisiti energetici minimi in attuazione alla nuova EPBD. Anche se il tempo per il recepimento non è molto, la discussione è appena iniziata.