19/12/2017 - Ogni 100 edifici realizzati con le necessarie autorizzazioni, ne sono tirati su quasi 20 abusivi.
Questo uno dei dati messi in luce dal
Rapporto dell’Istat sul Benessere equo e sostenibile che offre una lettura del benessere nelle sue diverse dimensioni ponendo particolare attenzione agli aspetti territoriali e allo sviluppo di alcuni indicatori di benessere tra cui ‘Paesaggio e patrimonio culturale’ e ‘Ambiente’.
Abusivismo: i dati italiani
Il Rapporto evidenzia come
l’indice di abusivismo edilizio si attesti nel 2016
su 19,6 costruzioni abusive ogni 100 autorizzate, in lieve calo rispetto alle 19,9 dell’anno precedente.
L’Istat mette in luce che durante la crisi economica, che ha portato al crollo della produzione edilizia,
l’incidenza dell’edilizia illegale è più che raddoppiata tenendo conto che nel 2007 la proporzione era di 9 costruzioni abusive ogni 100 autorizzate.
I livelli del fenomeno restano preoccupanti
nelle regioni del Centro, dove si stima che nel 2016 le nuove costruzioni residenziali abusive equivalgano a quasi un quinto di quelle autorizzate, e ancor più
nel Mezzogiorno, dove la proporzione sfiora il 50%. Gli indici di abusivismo sono particolarmente elevati in Molise, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia (tutti ampiamente superiori alla media del Mezzogiorno).
Secondo l'ingegnere Sandro Simoncini, docente presso l'università Sapienza di Roma e presidente di Sogeea SpA, “il fatto che l’indice di abusivismo abbia fatto registrare un lieve decremento tra il 2015 e il 2016, passando da 19,9 a 19,6, non deve indurre all’euforia: si tratta in ogni caso di un valore inaccettabile, che si distacca nettamente da quello medio dei Paesi dell’Unione Europea,che conferma l’incapacità di tornare ai
livelli pre-crisi, quando il dato era di
9 costruzioni illegali ogni 100 autorizzate”.
“L’impatto dell’abusivismo sul tessuto urbanistico si conferma devastante - prosegue Simoncini - anche perché efficaci politiche di contrasto faticano ad imporsi. L’inerzia amministrativa, alimentata dal timore di parte della classe dirigente di una perdita di consenso, rende di fatto impraticabili su larga scala le
procedure di abbattimento e non consente l’evasione delle oltre cinque milioni di pratiche di condono edilizio ancora pendenti. Aspetto, quest’ultimo, da non sottovalutare, perché consentirebbe di individuare una volta per tutte i manufatti non sanabili e che quindi devono essere demoliti”.
Qualità dell’ambiente
Le condizioni di
qualità dell’ambiente sono sintetizzate dal Rapporto Istat attraverso l’uso di un gruppo di indicatori riferiti a inquinamento, protezione della biodiversità, energia e la percezione da parte dei cittadini. La tendenza nel medio periodo è di un progressivo miglioramento che riguarda tutte le ripartizioni, con il
Nord che mantiene uno standard di qualità più elevato e il Mezzogiorno che ha realizzato la crescita più consistente (+7 punti dell’indice composito dal 2008 al 2015) a riflesso di un miglioramento nella gestione dei rifiuti e il conseguente minor conferimento in discarica.
L’analisi dell’ultimo anno mostra una sostanziale stabilità, ad eccezione del Mezzogiorno, dove l’indice composito cala di 0,5. La Valle d’Aosta e le province di Trento e Bolzano e l’Abruzzo presentano una più alta qualità dell’ambiente. Al contrario, le uniche regioni che ottengono un valore dell’indicatore inferiore a 100 nel 2015 sono le Marche (99,5), che mostrano un risultato al di sopra della media solo per quanto riguarda la soddisfazione dei cittadini, la Puglia (99,8) e la Sicilia (90,2), dove in presenza di una diffusa diminuzione, si segnalano significativi miglioramenti per quanto riguarda le energie rinnovabili e la percezione dei cittadini.