
Centri storici: è vuota una casa su 5, a Frosinone una su 2, a Firenze solo il 7,5%
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Centri storici: è vuota una casa su 5, a Frosinone una su 2, a Firenze solo il 7,5%
Da Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici e Cresme la prima indagine sui 109 centri storici italiani
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del 08/02/2019

18/12/2017 - Un quadro complesso, caratterizzato da diverse classi di comportamento, alcune frutto di vocazioni e dinamiche storiche tipiche del nostro Paese, altre emerse come innovative negli anni duemila, ma che confermano il carattere profondamente individuale del nostro territorio e dei suoi centri storici.
È quanto emerge da ‘Centri storici e futuro del Paese’, la prima indagine realizzata dall’Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici (Ancsa) e Cresme sui 109 centri storici italiani.
Rispetto ad alcune questioni chiave, la ricerca consente di sviluppare diverse considerazioni da sottoporre al dibattito, alcune delle quali sembrano avere carattere di originalità, e permettono di fissare alcuni punti fermi sulla questione e, in particolare, su cosa è successo nel recente passato e cosa sta succedendo oggi nei centri storici del Paese.
Il centro storico si mostra un eccezionale perno economico terziario che nel corso degli anni 2000, nonostante la crisi, si è andato rafforzando, specializzandosi. Questa centralità economica determina anche relazioni con il territorio basate su pesanti flussi di persone, pendolarismo per lavoro e studio e flussi turistici, che investono le strutture urbanistiche e ambientali, producendo, data la limitata dimensione del centro storico, anche squilibri, ma allo stesso tempo dimostra una profonda vitalità.
Il centro storico in Italia, nonostante profonde differenze tra le diverse realtà analizzate, svolge un importante ruolo economico per il Paese e si mostra come modello efficiente di utilizzo del suolo e qualità insediativa.
Se si considera che i dati per il 2016 e del 2017 descrivono un forte scenario di crescita per l’Italia (il fatturato diretto del turismo in Italia nel 2016 è stimato in 70,2 miliardi di euro), ci si rende conto che il turismo rappresenta un volano di risorse importante da sviluppare e indirizzare verso i centri storici, la questione è attraverso quali politiche.
L’analisi dei dati censuari 2001 e 2011 ci dice che la popolazione dell’insieme dei 109 centri storici è rimasta nel complesso stabile, diminuendo dello 0,1%; l’insieme delle 109 parti di città non centro storico è cresciuta dello 0,6%, e la popolazione italiana è cresciuta del 4,2%. Sembrerebbe confermata quindi la dinamica di perdita di attrattività residenziale del centro storico a scapito della sua funzione economica. Crescono gli addetti mentre rimane, nel complesso stabile, la popolazione.
L’indagine mostra che nei 109 centri storici sono presenti 866.386 abitazioni, il 2,8% del totale nazionale; le abitazioni vuote o non occupate da residenti, sono 182.961, pari al 2,6% del totale nazionale e al 21% del totale abitazioni. In sostanza una abitazione su cinque nei centri storici è vuota o occupata da non residenti. Nei comuni capoluogo, fuori dai centri storici, questa percentuale scende all’11,7%, mentre in Italia sale al 22,7%.
L’analisi di dettaglio evidenzia però i comportamenti molto diversi che caratterizzano i centri storici italiani; a Frosinone il 51,4% delle abitazioni del centro storico sono vuote e in degrado, a Lecco la percentuale è del 42% ma qui prevale l’occupazione dei non residenti e l’uso turistico delle abitazioni, a Ragusa la percentuale è del 41,7%, a Barletta del 41,5%, a Rieti del 41,3%, a Macerata del 40,6%, a Trapani del 39,3%. Si tratta di condizioni diverse, in alcuni casi frutto dell’abbandono e delle criticità, in altri della specializzazione turistica delle città. La percentuale di case vuote o non occupate da residenti nel centro storico di Firenze, nel 2011, è però del 7,5%; a Napoli dell’8,1%; a Milano del 9,4%.
Il tema delle seconde case è un tema rilevante che caratterizza molti centri storici italiani. Così come la presenza di edifici non utilizzati. Gli edifici interamente non utilizzati nei centri storici analizzati sono 8.492; nel resto del comuni sono 68.445 e in Italia 743.435. In Italia la percentuale di edifici inutilizzati è del 5,1% e nei centri storici del 3,9%. I valori puntuali descrivono una situazione molto differenziata: a parte L’Aquila, nella Città Vecchia di Taranto il 27,8% degli edifici non è utilizzato, nel centro storico di Caltanissetta il 20%, mentre ad Agrigento, Benevento e Vibo Valentia ci si avvicina al 13%.
Nei primi venti centri storici, ad eccezione dell’Aquila, di Macerata, Aosta e Udine, ci sono tutte città del sud o delle isole, a testimonianza di una questione centri storici in molte città del mezzogiorno. Non a caso valori bassissimi si registrano a Firenze censiti 8 edifici, a Siena 4 edifici, a Roma 23 edifici, lo 0,3% del totale, ma anche a Massa, Modena Arezzo, Bologna, Brescia. Tra le città del sud emergono Barletta, solo lo 0,5% degli edifici non è utilizzato, Carbonia, Catanzaro (meno dell’1%). L’abbandono degli edifici, pur con le singolarità che l’analisi puntuale fa emergere, si concentra in alcune zone del Paese ed è indicatore delle dinamiche in atto rispetto ai processi di valorizzazione o degrado dei centri storici.
Confrontando gli ultimi venti centri storici con i primi, le differenze non potrebbero essere più grandi: si può comprare casa nella difficile Città Vecchia di Taranto con 256 euro al m2, il prezzo più basso tra i centri storici in Italia; a Caltanissetta il prezzo al m2 è di 446 euro; a Andria 735; a Ragusa 762; a Cosenza 805 e a Biella 890. A Carbonia, Campobasso e Alessandria le case costano meno di 1.000 euro al m2; a Vibo Valentia, Trapani, Vercelli, Asti, Siracusa, Sassari, Isernia e Oristano i prezzi sono tra i 1.000 e i 1.100 euro al m2. Agli ultimi posti della classifica troviamo molte città del sud e delle isole, ma anche molte città piemontesi.
La ricerca mostra alcuni elementi particolarmente interessanti: i prezzi nell’area dei Sassi a Matera dal 2014 al 2016 sono cresciuti del 19%, sulla base del successo della riqualificazione dell’area e del programma di Capitale Europea della Cultura; a Lecce, sulla base del successo turistico del Salento negli ultimi anni, i prezzi delle case nel centro storico pur rimanendo ancora bassi hanno registrato un incremento del 16,6%. In crescita anche Nuoro, Taranto (Città Vecchia), Brindisi, altre città del sud, e Como. Tra i centri storici che perdono più valore vi sono due piemontesi, Asti (-20%) e Vercelli (-15,7%), tre città centro adriatiche, Pesaro (-17,7%), Fermo (-16,2%) e Chieti (-15,7%), e poi Agrigento (-17,6%) e Livorno (-16,9%) e soprattutto Siena.
È quanto emerge da ‘Centri storici e futuro del Paese’, la prima indagine realizzata dall’Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici (Ancsa) e Cresme sui 109 centri storici italiani.
Rispetto ad alcune questioni chiave, la ricerca consente di sviluppare diverse considerazioni da sottoporre al dibattito, alcune delle quali sembrano avere carattere di originalità, e permettono di fissare alcuni punti fermi sulla questione e, in particolare, su cosa è successo nel recente passato e cosa sta succedendo oggi nei centri storici del Paese.
Il centro storico: un micro-territorio di grande valore
I 109 centri storici oggetto dell’analisi - spiega il documento - sussistono su un territorio di 172 km2, lo 0,06% del territorio italiano, una porzione di territorio estremamente contenuta, eppure eccezionalmente ricca di valori. Valori determinati dalla nota qualità del prodotto edilizio che li costituisce, ma soprattutto dalla densità del valore culturale ed economico che rappresentano.Il centro storico si mostra un eccezionale perno economico terziario che nel corso degli anni 2000, nonostante la crisi, si è andato rafforzando, specializzandosi. Questa centralità economica determina anche relazioni con il territorio basate su pesanti flussi di persone, pendolarismo per lavoro e studio e flussi turistici, che investono le strutture urbanistiche e ambientali, producendo, data la limitata dimensione del centro storico, anche squilibri, ma allo stesso tempo dimostra una profonda vitalità.
Il centro storico in Italia, nonostante profonde differenze tra le diverse realtà analizzate, svolge un importante ruolo economico per il Paese e si mostra come modello efficiente di utilizzo del suolo e qualità insediativa.
L’economia del turismo è un volano da sviluppare
I centri storici delle città italiane sono il luogo della concentrazione del patrimonio storico-architettonico, delle opere architettoniche e artistiche, dei musei, della cultura. I flussi turistici culturali sono in forte crescita: nelle città d’arte italiane, dal 2010 al 2016 le presenza turistiche sono passate da 94 milioni a 111 milioni, pari al 27% delle presenze turistiche in Italia. Gran parte di queste presenze si concentra nei centri storici delle principali città capoluogo.Se si considera che i dati per il 2016 e del 2017 descrivono un forte scenario di crescita per l’Italia (il fatturato diretto del turismo in Italia nel 2016 è stimato in 70,2 miliardi di euro), ci si rende conto che il turismo rappresenta un volano di risorse importante da sviluppare e indirizzare verso i centri storici, la questione è attraverso quali politiche.
La popolazione nei centri storici resta stabile
Una delle questioni affrontate dalla ricerca riguarda la popolazione residente nei centri storici: il processo di terziarizzazione dei centri storici, gli importanti flussi turistici nazionali e internazionali che investono le città d’arte, la concentrazione di attività legate all’istruzione universitaria, il prepotente emergere di attività di offerta turistica residenziale che vedono in gioco quote di patrimonio significative sottratte al fabbisogno abitativo, insieme ai valori immobiliari e al costo della vita che la domanda determina, sono tutti fenomeni che fanno pensare a un processo di spopolamento.L’analisi dei dati censuari 2001 e 2011 ci dice che la popolazione dell’insieme dei 109 centri storici è rimasta nel complesso stabile, diminuendo dello 0,1%; l’insieme delle 109 parti di città non centro storico è cresciuta dello 0,6%, e la popolazione italiana è cresciuta del 4,2%. Sembrerebbe confermata quindi la dinamica di perdita di attrattività residenziale del centro storico a scapito della sua funzione economica. Crescono gli addetti mentre rimane, nel complesso stabile, la popolazione.
Una casa su 5 è vuota o occupata da non residenti
Il dibattito negli ultimi anni ha posto l’attenzione sul tema delle abitazioni vuote all’interno dei centri storici e sul fenomeno montante delle abitazioni offerte sul mercato come case vacanze che interessa in misura pesantissima le principali città d’arte italiane.L’indagine mostra che nei 109 centri storici sono presenti 866.386 abitazioni, il 2,8% del totale nazionale; le abitazioni vuote o non occupate da residenti, sono 182.961, pari al 2,6% del totale nazionale e al 21% del totale abitazioni. In sostanza una abitazione su cinque nei centri storici è vuota o occupata da non residenti. Nei comuni capoluogo, fuori dai centri storici, questa percentuale scende all’11,7%, mentre in Italia sale al 22,7%.
L’analisi di dettaglio evidenzia però i comportamenti molto diversi che caratterizzano i centri storici italiani; a Frosinone il 51,4% delle abitazioni del centro storico sono vuote e in degrado, a Lecco la percentuale è del 42% ma qui prevale l’occupazione dei non residenti e l’uso turistico delle abitazioni, a Ragusa la percentuale è del 41,7%, a Barletta del 41,5%, a Rieti del 41,3%, a Macerata del 40,6%, a Trapani del 39,3%. Si tratta di condizioni diverse, in alcuni casi frutto dell’abbandono e delle criticità, in altri della specializzazione turistica delle città. La percentuale di case vuote o non occupate da residenti nel centro storico di Firenze, nel 2011, è però del 7,5%; a Napoli dell’8,1%; a Milano del 9,4%.
Il tema delle seconde case è un tema rilevante che caratterizza molti centri storici italiani. Così come la presenza di edifici non utilizzati. Gli edifici interamente non utilizzati nei centri storici analizzati sono 8.492; nel resto del comuni sono 68.445 e in Italia 743.435. In Italia la percentuale di edifici inutilizzati è del 5,1% e nei centri storici del 3,9%. I valori puntuali descrivono una situazione molto differenziata: a parte L’Aquila, nella Città Vecchia di Taranto il 27,8% degli edifici non è utilizzato, nel centro storico di Caltanissetta il 20%, mentre ad Agrigento, Benevento e Vibo Valentia ci si avvicina al 13%.
Nei primi venti centri storici, ad eccezione dell’Aquila, di Macerata, Aosta e Udine, ci sono tutte città del sud o delle isole, a testimonianza di una questione centri storici in molte città del mezzogiorno. Non a caso valori bassissimi si registrano a Firenze censiti 8 edifici, a Siena 4 edifici, a Roma 23 edifici, lo 0,3% del totale, ma anche a Massa, Modena Arezzo, Bologna, Brescia. Tra le città del sud emergono Barletta, solo lo 0,5% degli edifici non è utilizzato, Carbonia, Catanzaro (meno dell’1%). L’abbandono degli edifici, pur con le singolarità che l’analisi puntuale fa emergere, si concentra in alcune zone del Paese ed è indicatore delle dinamiche in atto rispetto ai processi di valorizzazione o degrado dei centri storici.
I valori immobiliari: in testa Milano con 6.538 euro/mq
Una ulteriore conferma a questa lettura viene dall’analisi dei dati del mercato immobiliare. Come è noto il Paese ha vissuto dalla seconda metà del 2006 una profonda crisi delle compravendite e dei prezzi: il numero delle compravendite è diminuito tra il 2006 e il 2013 del 54%, mentre i prezzi sono diminuiti del 33%. Il centro storico più costoso, e quindi quello con il maggior valore immobiliare, risulta essere quello di Milano, con un prezzo medio di 6.538 euro m2 per abitazione, Roma segue, all’interno delle Mura Aureliane, con 6.115 euro, seguita da Venezia (4.290), Bolzano (4.050), Trento (3.500), Monza (3.406), Firenze (3.298), Como (3.194), la Città Alta di Bergamo (3.125) e Bologna, all’interno dei Viali (2.908).Confrontando gli ultimi venti centri storici con i primi, le differenze non potrebbero essere più grandi: si può comprare casa nella difficile Città Vecchia di Taranto con 256 euro al m2, il prezzo più basso tra i centri storici in Italia; a Caltanissetta il prezzo al m2 è di 446 euro; a Andria 735; a Ragusa 762; a Cosenza 805 e a Biella 890. A Carbonia, Campobasso e Alessandria le case costano meno di 1.000 euro al m2; a Vibo Valentia, Trapani, Vercelli, Asti, Siracusa, Sassari, Isernia e Oristano i prezzi sono tra i 1.000 e i 1.100 euro al m2. Agli ultimi posti della classifica troviamo molte città del sud e delle isole, ma anche molte città piemontesi.
La ricerca mostra alcuni elementi particolarmente interessanti: i prezzi nell’area dei Sassi a Matera dal 2014 al 2016 sono cresciuti del 19%, sulla base del successo della riqualificazione dell’area e del programma di Capitale Europea della Cultura; a Lecce, sulla base del successo turistico del Salento negli ultimi anni, i prezzi delle case nel centro storico pur rimanendo ancora bassi hanno registrato un incremento del 16,6%. In crescita anche Nuoro, Taranto (Città Vecchia), Brindisi, altre città del sud, e Como. Tra i centri storici che perdono più valore vi sono due piemontesi, Asti (-20%) e Vercelli (-15,7%), tre città centro adriatiche, Pesaro (-17,7%), Fermo (-16,2%) e Chieti (-15,7%), e poi Agrigento (-17,6%) e Livorno (-16,9%) e soprattutto Siena.