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Cnappc: ‘l’Italia non è (più) un Paese per architetti’

Cnappc: ‘l’Italia non è (più) un Paese per architetti’

“Redditi medi da ‘incapienti’; se continua così, prima della fine del 2015, saremo costretti a chiudere gli studi”

Vedi Aggiornamento del 12/02/2016
di Rossella Calabrese
Vedi Aggiornamento del 12/02/2016
17/09/2014 - “Con lo Sblocca Italia, molto ridotto, il Governo Renzi - come peraltro accade tutti i giorni agli architetti italiani - ha sbattuto contro il muro della burocrazia conservatrice che ha mortificato e modificato il progetto di introdurre misure concrete per porre rimedio alla condizione delle città, del mercato dell’edilizia, degli architetti e degli altri professionisti del settore. Il Decreto contiene, infatti, solo norme che sarebbero adatte ad un Paese normale in tempi normali: per l’Italia di oggi ci voleva ben altro”.
 
È duro il commento del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, sul Decreto Sblocca Italia (DL 133/2014).
 
Secondo gli Architetti italiani, “il vero spread che divide l’Italia dal resto d’Europa è l’incolmabile distanza tra la cieca e autoreferenziale giurisprudenza legislativa e la drammatica realtà della nostra vita quotidiana”.
 
Aver rimandato, nello Sblocca Italia, il Regolamento Edilizio Nazionale, non aver posto limiti temporali alla possibilità della P.A. di revocare un permesso o di cambiare le proprie decisioni, non aver modificato i requisiti di accesso alle gare per i progetti pubblici (che oggi escludono il 99% degli architetti a favore di poche grandi società capitalizzate), non aver varato un vero progetto di rigenerazione urbana sostenibile che mettesse mano agli 8 milioni di edifici italiani che possono cadere alla prima scossa, anche lieve, di terremoto, rappresenta - per il Cnappc - “la pietra tombale per un settore, quello dell’edilizia, che ha già perso metà del suo fatturato”.
 
Il Consiglio nazionale riprende i dati dell’“Osservatorio 2014 sullo Stato della professione di architetto in Italia” - realizzato dal Cresme e dal Cnappc, e che sarà presentato nelle prossime settimane: gli architetti italiani hanno ormai un reddito medio annuo sotto i 17 mila euro che, al netto di tasse e previdenza, vale la metà; al Sud, scende a 11 mila, mentre quello dei trentenni, mediamente, non raggiunge i 500 euro mensili reali. Dati che “dimostrano, con la forza dei numeri, l’incapacità della politica di comprendere la drammaticità della situazione”.
 
“L’Italia non è (più) un Paese per architetti - denuncia il Cnappc -: redditi medi da ‘incapienti’, senza peraltro avere alcuna garanzia ‘sindacale’ né cassa integrazione né bonus statali; debiti con le banche per quasi la metà dei progettisti italiani che nessuno paga, considerato che i giorni necessari per ottenere un pagamento da parte della Pubblica Amministrazione sono oltre 218, quelli da parte delle imprese 172 e, dei privati, 98”.
 
“Chiediamo alle Istituzioni - ed in particolare al Capo dello Stato ed al Presidente del Consiglio - se l’Italia, patria dell’architettura, sia disponibile a fare a meno di noi architetti, visto che non sopravviveremo un altro anno (nel 2013 il calo del fatturato è stato del 33% circa) e dovremo chiudere i nostri studi, grandi e piccoli” - si legge nella nota.
 
“Ma chiediamo anche - prosegue il Cnappc - se il Paese possa fare a meno del made in Italy che noi abbiamo inventato con le nostre idee e i nostri progetti, e come si potrà fare per rigenerare le città, riprogettare i territori, salvare i monumenti del Bel Paese quando l’assenza di visione e la burocrazia ottusa avranno finito di distruggere l’architettura italiana”.
 
Ed ancora: “si continuerà, per fare a meno di noi, a favorire l’abusivismo, il disastro ambientale, la bruttezza delle periferie, pronti anche a rinunciare ad oltre 60 mila giovani architetti che andranno all’estero senza tornare o cambieranno lavoro, uccidendo, così, per i cittadini italiani, la speranza di un habitat migliore per il futuro? E si continuerà a considerarci - a seconda delle convenienze del momento - ora una lobby di ricchi, ora ‘partite IVA’ e non lavoratori che tutti i giorni per 12 ore sgobbano per fare il loro dovere e aiutare l’Italia a crescere?”.
 
“Non abbiamo mai chiesto né chiediamo sussidi o favori. Pretendiamo, però - conclude il Consiglio Nazionale - il rispetto del nostro lavoro che viene, invece, quotidianamente vessato da una burocrazia ossessiva, da un mercato sregolato in cui i diritti sono solo quelli degli altri, da una concorrenza spietata delle società pubbliche, da regole per gli appalti che favoriscono i soliti pochi noti, da una fiscalità insensata, dal lasciarci indifesi di fronte alle banche, dall’emarginarci dalle politiche economiche; e per di più, chiudendo gli occhi, davanti agli abusi edilizi, ai centri storici che crollano, all’edilizia sommersa, alle vere lobby che razziano appalti a colpi di tangenti”.
 
 

 
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